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  • Immagine del redattoreTiziana Franceschini

L’INTELLIGENZA EMOTIVA PER IL SOSTEGNO DELLA SALUTE DEI BAMBINI E DELLA FAMIGLIA

Aggiornamento: 27 dic 2020


Parliamo spesso di quali siano i disturbi psicopatologici più frequenti in età evolutiva e molte delle energie di noi professionisti sono indirizzate alla cura del minore e della famiglia. È meno frequente sentir parlare di prevenzione del disagio e di sostegno della salute psicofisica del bambino, per cui il professionista spesso viene chiamato ad intervenire sull’onda di un’emergenza sociale, quando, cioè, la patologia, oramai conclamata, arriva all’attenzione di insegnanti, educatori e genitori.

Per comprendere come sia possibile e doveroso lavorare per la prevenzione, dobbiamo interrogarci su quali siano i fattori protettivi e le risorse psichiche che tutelano il minore dal rischio psicopatologico. Cosa rende un bambino più forte o più debole rispetto alle sfide evolutive che la crescita gli pone? Cosa contraddistingue il bambino che riesce ad affrontare lo stress? Quali sono le risorse familiari che egli apprende dai genitori?

Per rispondere a tali interrogativi, ci può aiutare il concetto di Intelligenza Emotiva, introdotto da Howard Gardner (“Intelligenze Multiple”, Ed. Anabasi, Milano, 1994), all’interno di una visione dell’intelligenza umana come multidimensionale. Secondo l’Autore, l’intelligenza non è riconducibile alla solo forma Logico-Matematica, misurata dai più comuni test intellettivi tramite la stima del Quoziente d’Intelligenza. Quando siamo messi di fronte ad una scelta, quando interagiamo con gli altri, utilizziamo la ragione, con cui valutiamo i pro e i contro delle diverse alternative possibili, ma in gran parte le nostre scelte sono dettate dalle emozioni e dai sentimenti.

Quella emotiva è una forma di intelligenza che presuppone tutta una serie di abilità, tra cui: la consapevolezza dei propri sentimenti e stati d’animo; il riconoscimento dei sentimenti altrui, che è alla base dell’empatia e dell’altruismo; l’autostima e la capacità di motivare se stessi, nutrendo aspettative ottimistiche; l’autocontrollo, che permette di esprimere le emozioni in modo appropriato e coerente con il contesto; la risoluzione dei conflitti interpersonali e la collaborazione reciproca, che consentono di mantenere relazioni interpersonali soddisfacenti.

L’importanza di tali competenze ci appare centrale nelle patologie in cui esse sono carenti. Pensiamo al Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, in cui mancano le capacità di mantenere la motivazione e di esercitare autocontrollo; alla Depressione, in cui la scarsa autostima deprime la relazionalità e l’esplorazione dell’ambiente; al fenomeno emergente del Bullismo, che evidenzia la mancanza di empatia verso l’altro. In altre parole, alla base di tali patologie c’è un deficit nell’Intelligenza Emotiva, che ostacola l’adattamento all’ambiente.

Intervenendo preventivamente, possiamo rafforzare l’Intelligenza Emotiva, per rendere i bambini più consapevoli degli stati emotivi propri e altrui. Il lavoro prevede di riservare un’attenzione particolare alle emozioni negative (tristezza, paura, collera…), che tendiamo ad inibire, perché risultano più difficili da controllare e più pericolose socialmente. Il rischio di una tale strategia difensiva consiste nel fatto che le emozioni represse si nascondono in una zona oscura del Sé, che diventa quella che lo psicoanalista Carl Gustav Jung chiama l’Ombra. Non essendo mentalizzate, tali emozioni tendono a riaffiorare alla coscienza tramite comportamenti incontrollati, che spesso sono all’origine dei disturbi psicopatologici. Educare l’Intelligenza Emotiva vuol dire insegnare al bambino e alla famiglia a dare un nome alle emozioni.

I bambini imparano che ansia, tristezza e rabbia sono sotto il loro controllo: le emozioni non calano su di noi senza motivo, ma dipendono dal modo in cui valutiamo noi stessi, gli altri e le situazioni, per cui sono modificabili se cambiamo il nostro modo di sentire, di pensare e di agire. E’ importante sottolineare come l’intervento debba coinvolgere anche i genitori in questo processo di alfabetizzazione emozionale, perché la più grande risorsa del bambino rimane la famiglia.

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